L'uomo osserva la volta celeste da migliaia di anni, prima ad occhio nudo, poi grazie a Galileo, con i telescopi. Comunque anche con gli strumenti più moderni riusciamo a raccogliere solo una piccola frazione della luce inviataci dalle stelle. E non è solo una questione di distanza. La luce delle stelle viene in gran parte schermata dalla nostra atmosfera e solo una piccola porzione dello spettro elettromagnetico, quella che noi percepiamo quotidianamente con i nostri occhi, raggiunge la superficie del nostro pianeta. Ad un estremo troviamo le onde radio, cioè “luce” caratterizzata da lunghezze d’onda grandi centimetri, metri, e anche kilometri, che possiamo osservare da terra con i radiotelescopi. All’altro estremo incontriamo la radiazione ultravioletta, la radiazione X e gamma. Sono forme di “luce” le cui lunghezze d'onda sono piccolissime, fino ad un miliardesimo di millimetro. Sarebbero letali per la vita sulla Terra, ma per fortuna vengono bloccate dalla nostra atmosfera, per questo le osserviamo con i satelliti. A questo punto potremmo pensare che tutto ciò che si può conoscere degli astri provenga dall'analisi della loro luce: fotoni ottici, radio, ultravioletti, X e gamma agirebbero da messaggeri cosmici, portando qui sulla Terra informazione che poi gli scienziati trasformano in conoscenza. In realtà negli ultimi 40 anni il quadro è cambiato radicalmente. Studiando il cielo abbiamo imparato che oltre ai fotoni esistono altri “messaggeri” celesti portatori di informazione astrofisica come i neutrini, i raggi cosmici e infine le onde gravitazionali, rivelate per la prima volta nel 2015. Questi messaggeri, anche se non ce ne accorgiamo, accompagnano le nostre vite sin dalla nascita. Negli ultimi decenni abbiamo anche imparato ad utilizzarli per qualche interessante applicazione pratica. Finalmente abbiamo spalancato la finestra sul cielo e smesso di osservarlo attraverso lo spiraglio di una finestra socchiusa.